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atropo - deuteronomio, versetto non pervenuto lyrics

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[strofa 1: atropo]
odo il violino e la sua sacra chiave, musa
fa che non vìolino l’esacerbato altare
elimino il subliminale: trinitante cerbero danzante
ogni parola proferita è altro fiato che sperpero, certo
ferita nuova verso cui convergo
rituale d’iniziazione, detergo dita esili
non la mia anima in cui neanche più credo
a braccia incrociate siedo, gli occhi rivolti al cielo cremisi
fiamme smeraldo le mie nemesi
ciclicità terrena insegue fertili frutti, ma oltrep-ssando i mesi
rimando scelsi con cura: cancrena come cura di rimando
dirimendo faide interne senza araldo
arando fuori solco spinale
vedo me incidermi le dermi
quindi è lecito chieder: “posso spirare?”
osso spirale come talismano in mano a sospirare
le mie genti: medium silenziosi, pregano urano

[ritornello: atropo & miike takeshi]
luce di luna come bisturi, poi chi sutura?
il verbo afono di edipica madre natura?
oscura ratio, trascendo il limite privo di dazi
una mia mano sfiora una mia mano, causando brividi

[strofa 2: miike takeshi]
è statuario, pugni sopra i fianchi
non lontano dall’avvicendarsi di corpi nudi mostranti
solerzia nell’ineluttabile inerzia
di un organismo che presenzia a se stesso nella sua -ssenza
e registrava, o cercava, ogni movimento
intriso di finitezza ed eternità al contempo
un ossimoro ed un commento a piè pagina dei suoi appunti
quale umanità sarà umana e quale sarà appunti?
puntava lui, scienziato dell’antropo e del suo agire
all’unità dei dati per le scienze dell’avvenire per
venire a una comprensione:
il limine tra il mero sentire e la sua sistematizzazione
ma quanto di perso nella trasposizione era insaputo
quel sudare cosciente era vissuto, intessuto dei presenti
autoreferenti che solcavan le verità e il tempo dei sistemi viventi
ed una figura perfetta circoscriveva
le forze ed influenze per gli iniziati e valeva
come genesi nuova, nuova
nascita, lascito in morte di ciò che precede
il sapere e ciò che ne è forte
ma lui forte non molto
figlio del mondo della causalità cartesiana
del contatto come unico fecondo, fecondò
l’uomo al centro, il torace aperto
a simbolo-sintomo di un cultuale, un modellare l’incerto
(e ad un tratto il deliquio)
riaprì gli occhi, il mondo, di nuovo, supino
l’osservare opaco di un bambino
un volto celestino nei suoi intagli
che erano orpelli, dettagli, un’estetica a lui ignara
ma mostrarli era fattore di umana fattura
furore di umana frattura e tenore
in odore di sangue alzò il capo
il corpo nudo dal torace al p-b-
il disegno del cosmo con le sue carni richiuse



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