pathos - onyria lyrics
la vecchia luna s’è b+ttata, la vedo per terra
sta morendo in quattro pezzi, trema, tenta
questo letto sa di anni lacrime e freddo
come diavolo ci sono finito qua dentro?
muri coperti da tagli minuscoli
un gabinetto trabocca di
vado alla porta d’acciaio, un quadrato di vetro svela veloce il segreto:
nella cella di fronte uno scheletro ride sospeso
in un solo secondo quel peso del tempo che coglie le membra diventa uno spettro e fruga nеl suo nuovo petto
poco dietro al dannato lampeggia una frasе che scritta coi graffi recita:
iddio m’ha scordato, il mio sangue è gelato
ed io cado per terra, sento una frequenza
nove, otto, due, zero, zero, due
la porta d’improvviso s’apre come un tuono
cinque secondini come celeri ridanno fuoco al suono
l’inerzia nutre la solerzia che mi induce a vomitare la mia strana forma di non esistenza
corsa fuori dalla cella come il corpo di pinelli
poco dopo il volo quasi accidentale giù dalla finestra
salutando poche ossa che vibrano, ridono e gridano corri sei libero
questo corridoio appare infinito
c’è un bagliore in fondo, ma è troppo piccolo
di colpo vengo interrotto da un botto che porta all’interno d’un mondo, a una cella sepolta
maghi eleganti affetti d’eterocromia che cercano una via per fare una magia
rinchiudere afonia in una formula, far sparire ogni rivolta
rabbrividisco e corro ma più vado in fondo più mi sento morto
nei milioni di chilometri mansuete piante umane coltivate sottochiave per produrre e consumare
fino all’ultimo sogno
sento il cuore sollevato giunto all’ultima porta
brilla come nascondesse un cielo dietro e conforta
ma una mano fredda afferra ferma la mia mano
tocco delicato, ed ecco che alla luna appare una donna:
sfida venezia di notte
il suo viso un assaggio di morte
i suoi occhi son foglie d’autunno
mari piovuti sul mio volto defunto
quando i respiri si intrecciano, allora afferra un coltello nascosto nel seno
che taglia il mio stomaco, strappa il mio fegato per divorarlo con calma
la seguo
voynich, dalia, magia, quasar, casa, lei è
cammina lentamente verso quella stanza d’oro
ad ogni passo sento questo maledetto fuoco
spegnere gioia e dolori, gli orrori, la nebbia che grida sui muri, gli odori
ma arrivati a quella cella dalle stelle ferme
si ferma, come una lacrima a terra mette
una chiave
per poi sparire
brevemente divorata dalle tenebre eterne
apro ed ecco dracula, a sfidare milligan
entriamo i resti su un tavolo verde
uno ha messo uno stivale, il suo rivale è messo male pare abbia messo le stelle
fumo sopra ventisei che ora mi guardano
pure un gufo stanco, un gufo affranto
gufo bianco, su una croce all’angolo
col martirio che vanesio cola dalle ali perché possa ammirarlo
cerco di fuggire ma di colpo vengo travolto da un torrente di cadaveri nel corridoio
sento un morso, un vento rosso
lento sposto il marcio, il fango, il pus addosso
la retorica di seth mi stacca un occhio
grani d’odio nel deserto del suo cuore
se nell’altro affiora il cielo di platone, quando uscirò lo darò a tutte le persone
mi faccio largo fra le sabbie di corpi
finalmente torna l’ultima porta
quella col cielo dietro, giuro che non ci credo, ciò che ho dietro sarà solo un ricordo
ma quando apro trovo solo quei tagli
ed un letto che puzza di anni
lascio un segno sul muro e il sole nel cesso
lacrime fredde sul letto
vecchia, luna, perchè, suoni, tutto, sfuma
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